di Pier Luigi Lopalco e Stefano Zona
Quello che sta succedendo in provincia di Bergamo in queste ultime settimane ricorda molto da vicino l’evento epidemico che colpì la Toscana qualche anno fa. Si tratta di casi di malattia invasiva da meningococco C, molto probabilmente un ceppo ipervirulento.
Esattamente come accadde in Toscana, oggi si fa fatica a pronunciare la fatidica parola magica: epidemia. Si vuole evitare il panico, lo capiamo. Ma se vogliamo affrontare le cose in maniera razionale e scientifica è bene iniziare col chiamarle con il loro nome.
Le epidemie di meningococco si manifestano esattamente così. Pochi casi (da poche unità a qualche decina) ravvicinati nel tempo e nello spazio. Riconoscere la catena di contagio o l’origine comune dei singoli casi è molto difficile, ma la catena esiste necessariamente. Difficile trovarla perché la catena di contagio, nel caso dei meningococchi, è sostenuta dai portatori sani: sono persone che albergano i meningococchi nelle proprie vie aeree senza presentare alcun sintomo.

Per bloccare la catena di contagio è importante cercare di individuare dove la trasmissione sia facilitata. In Toscana, in ritardo, si è scoperto che la maggior parte dei casi erano riconducibili ad alcune discoteche o disco-pub: i luoghi chiusi e affollati sono proprio i nodi centrali delle epidemie meningococciche. Sarebbe molto importante riuscire a convogliare tutte le risorse possibili per effettuare indagini epidemiologiche volte a trovare i luoghi (o il luogo) principale nella epidemia Lombarda, esattamente come si fece con l’epidemia in Toscana.
Vaccinarsi? Serve, ovviamente a proteggersi individualmente contro la terribile infezione. Ma senza panico. Altri strumenti utili per prevenire eventuali casi di malattia invasiva da meningococchi sono arieggiare spesso i luoghi chiusi e evitare di rimanere per diverse ore in luoghi chiusi affollati.
È una epidemia, facciamola gestire agli specialisti.